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“I love Kirghizistan & I love you” ….. Lettera No 2
By: Redazione Fuorirotta
In:news
venerdì 19 agosto 2016
Lettera No 2
Amici,
siamo giunte al nostro quinto giorno di viaggio. Vi scriviamo sedute su un taxi, mentre il nostro autista cerca da ormai quasi un’ora due passeggeri per poter riempire la macchina e partire, diretti a Kochkor.
In questi ultimi giorni ci siamo spostate da Bishkek, la capitale del Kirghizistan, verso il lago Issy kul. L’ultima sera passata a Bishkek abbiamo cucinato una pasta alla norma “à la Bishkek” per Mirlan, il ragazzo che ci ha accolto tramite couchsurfing. Era ferragosto, e tra noi tre lui è stato l’unico a ricordarsi di questa festa e a farci gli auguri. Chiacchierando mentre cucinavamo, Mirlan ci ha raccontato della sua esperienza in Italia. Ci ha detto che i primi giorni, per farsi coraggio, ascoltava “Niente paura” di Ligabue, e che poi si è affezionato alla sua musica, e ogni mattina ascoltava “Buona notte Italia”. Ci ha raccontato che solo una volta, durante i suoi due anni in Italia, qualcuno ha dimostrato di conoscere qualcosa sul Kirghizistan: era in treno, e qualcuno passando gli ha chiesto se fosse mongolo. Lui rispose “no, kirghiso” e l’altra persona disse “ah! Bishkek!”. Questo è stato un momento di grande stupore e soddisfazione per qualcuno che preferiva i tempi dell’Unione Sovietica perché “per lo meno allora la gente sapeva da dove venivo”. Mirlan racconta che la sua più grande vittoria in Italia è stata quando, in un supermercato, dopo aver ceduto il passo a una signora anziana, si è sentito rispondere: “ma perché gli stranieri non sono tutti come lei..?” Era la prima volta, dopo più di un anno in Italia, che qualcuno gli dava del lei.
Mentre in Italia sono pochi quelli che conoscono il Kirghizistan, qui tutti conoscono qualcosa dell’Italia. Un po’ per il calcio, ma soprattutto per “Sprout”, ovvero “La Piovra” con Michele Placido, che a quanto pare è molto conosciuto ed apprezzato in tutta l’Unione Sovietica. Durante gli anni dell’Unione i film statunitensi erano vietati, e quindi il cinema di importazione era prevalentemente italiano e francese. Tutti inoltre conoscono Celentano, Cotugno e la hit “Ti amo” di Umberto Tozzi, che abbiamo cantato sul patio di Mirlan la sera di ferragosto mentre aspettavamo di buttare la pasta.
Mirlan parla bene l’italiano e, a detta sua, il dialetto napoletano (essendo noi del nord non abbiamo la capacità di verificare che sia effettivamente così). Da poco ha iniziato a parlare anche inglese, grazie a un autostoppista giapponese che lui ha caricato nel mezzo dell’inverno kirghiso, infreddolito e affamato. Dopo averlo ospitato a casa sua, Mirlan ha chiesto se il ragazzo potesse creargli un profilo di couchsurfing, di cui aveva sentito parlare in televisione. Da allora un anno è passato e 22 ospiti sono stati accolti da Mirlan. Il suo inglese è migliorato molto, e ora è in grado di sostenere una conversazione.
A Bishkek si vedono persone sia dai tratti asiatici che russi. Ogni tanto si vede qualcuno, forse un misto tra i due gruppi, con degli occhi grigio-azzurri difficile da vedere altrove. Mirlan è di etnia kirghiza, e gli abbiamo chiesto come siano i rapporti con i russi trapiantati qui. A detta sua sono ottimi e sua mamma sarebbe felicissima se lui si trovasse una fidanzata russa! Lui dice di essere un cattivo musulmano, perché andava alla moschea sono in Italia per sentirsi meno lontano da casa.
Sembra che a Bishkek ci sia anche un misto di religioni: abbiamo sentito cantare i muezzin, ma al mercato una ragazza ci ha chiesto se crediamo in Gesù Cristo, dicendoci di essere cristiana.
La comunicazione non è sempre delle più semplici: il nostro livello di russo/kirghiso si avvicina molto al livello di inglese parlato dalla popolazione locale, ed è prossimo allo zero. Ci riusciamo però a spiegare a gesti, e per ora siamo sempre riuscite ad ottenere ciò di cui avevamo bisogno. Il primo grande obiettivo era comprare un biglietto dell’autobus per Jeti Oguz per il giorno dopo, e in seguito a una conversazione esilarante in cui sono stati mimati il dormire con gli occhi chiusi e il sorgere del sole, siamo riuscite a capire quando dover tornare in stazione per prendere l’autobus.
Ci siamo quindi dirette verso Jeti Oguz, a sud est del lago Issy Kul, per evitare le destinazioni turistiche del nord e le zone contaminate da uranio. Una volta arrivate al paese, poco più di un incrocio, abbiamo preso un taxi che ci ha portate a un villaggio di yurte, la tipica tenda dei nomadi kirghisi. Il taxi era una macchina di ultima generazione: una Lada degli anni ’70, il cui bagagliaio si apre solo grazie a un cacciavite e le cui portiere non hanno più le maniglie.
Al villaggio abbiamo trovato una famiglia che affitta yurte a gruppi di kirghisi che vogliano passare la
giornata in campagna, mangiando e innaffiando generosamente di vodka tutte le portate del loro lauto pasto. Abbiamo quindi arrangiato la nostra permanenza per la notte in una di queste yurte, e dopo aver posato gli zaini abbiamo iniziato ad andare ospiti nelle yurte occupate dai nostri vicini kirghisi.
Dopo solo cinque minuti abbiamo constatato che è praticamente impossibile rifiutare vodka. Chiunque ci spingeva a bere, mimando il gesto di bere alla goccia. Abbiamo quindi capito che l’anima sovietica (e l’amore per la vodka) è più forte del precetto islamico di astenersi
dall’alcool. Nessuna di noi è un’amante della vodka, e abbiamo quindi mimato le situazioni di grande ubriachezza che si sarebbero manifestate se avessimo bevuto tutti quei cicchetti. Oltre alla vodka in tutte le yurte che abbiamo visitato ci è stato offerto del cibo: una versione kirghiza dello gnocco fritto, una zuppa di montone, patate e cavolo, caramelle, pane e biscotti. In una delle yurte le donne si sono messe a cantare, e hanno provato a intonare una canzone di Celentano in nostro onore. Una di noi due si è aggiudicata un discreto numero di pretendenti kirghisi, che tra una vodka e l’altra le dicevano “i love you” e mimavano l’appartarsi in solitudine. È con grande dispiacere che vi dobbiamo informare che niente è successo, e non abbiamo niente da raccontare a riguardo. L’altra invece, probabilmente a causa dei capelli corti e della vita stretta, è stata schifata più o meno da tutti.
Oltre all’incitamento a tracannare vodka e ad arrangiare fughini romantici, siamo riusciti anche a comunicare: uno dei nostri anfitrioni era un insegnante di russo, mentre un’altra è una nonna che si prende cura dei cinque nipoti mentre il figlio e la nuora sono migrati a Mosca per lavorare.
La mattina seguente non credevamo ai nostri occhi quando ci siamo svegliate in una yurta tutta per noi: è una struttura rotonda coperta da un telo bianco all’esterno, e all’interno rivestita di tappeti colorati appesi sopra una struttura di legno. Uscite dalla yurta si presentava di fronte a noi lo spettacolo di montagne di terra rossa contornate da boschi e prati verdi.
Dopo aver fatto colazione ci siamo allontanate dal villaggio di yurte, e abbiamo raggiunto Jeti Oguz. Qui abbiamo aspettato un autobus per un’ora e mezza, durante la quale abbiamo fatto la conoscenza di alcuni bambini kirghisi: dopo avergli regalato dei fogli di carta colorata e dei pennarelli, questi hanno iniziato a disegnare scenari di praterie con yurte, e a scrivere messaggi come “I love Kirghizistan” e “I love you”.
L’autobus infine è arrivato e ci ha portato, per puro caso, a Pokrovka, una destinazione di villeggiatura sul lago Issy Kul in cui molte famiglie kirghise vengono a passare una giornata in spiaggia e a farsi il bagno. Anche qui non manca la vodka, o i personaggi che, avendo abusato di vodka, decidono di passare più tempo del dovuto a intrattenere conversazioni in russo con due italiane che chiaramente non capivano niente di ciò che gli veniva detto.
La giornata è passata in modo molto rilassato sulla riva del lago, leggendo e osservando le famiglie intorno a noi. Abbiamo pernottato in una yurta a pochi metri dal lago, dove la notte ci ha sorprese un temporale e dei topolini impauriti scheggiavano sotto i nostri letti.
Al risveglio ci siamo messe in cammino per Kochkor, cercando di raggiungere la nostra prossima tappa: Song Kul.
Saluti kirghisi,
Laura & Paola