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RAGNATELE. APPUNTI PER UN VIAGGIO TRA I PAESI ABBANDONATI DELL’APPENNINO
By: Redazione Fuorirotta
In:news
lunedì 19 settembre 2016
Siamo partiti seguendo il filo conduttore dei paesi abbandonati dell’Appennino per realizzare presto che le storie e le dinamiche che incontravamo sul percorso riguardavano la storia di tutte le aree interne italiane. Le comunità e i territori che abbiamo attraversato ci hanno raccontato tanto, non solo del passato, ma anche delle relazioni presenti e future che intratteniamo con l’ambiente, gli spazi, i luoghi, i paesi e i quartieri in cui viviamo. “La montagna è ricca” ci ha detto qualcuno. Ed è vero. E’ ricca di risorse, di saperi e conoscenze che non dovrebbero appartenere solo a un passato folkloristico o museale.


 Questo è Domenico, uno dei tanti pastori che abbiamo incontrato durante il viaggio. Domenico da giovane, come molti suoi coetanei, è emigrato al nord per lavorare; ma quel mestiere non gli piaceva, gli mancavano la terra bruciata dal sole e i pascoli calabresi. Così appena ha potuto è tornato a Patia a fare il pastore.
I pastori è come se fossero i depositari della memoria di quest’Italia interna. Abbiamo dormito nei loro rifugi e ci siamo a volte fatti guidare dalla loro esperienza sui tratturi millenari, Sono stati una costante del nostro attraversamento, veri e propri custodi della sapienza di queste montagne. Li abbiamo incontrati e intervistati in tutti i punti del nostro itinerario e ci hanno saputo offrire la loro prospettiva sui mutamenti che hanno investito la montagna negli ultimi decenni. Parlandoci di transumanze e tradizioni, del loro rapporto con la tutela ambientale, di briganti e di opere di sviluppo, ci hanno raccontato le storie che li legano ai paesi abbandonati e in spopolamento.
 


Spesso i paesi abbandonati, ad avere il tempo di ascoltarli e di guardarli non sono meno vivi, o meno morti, dei loro doppi costruiti di recente. C’è tutto un carico di vite, di emozioni, di memorie, di speranze e di rimpianti che i paesi custodiscono tra le loro mura mangiate dall’edera…
il villaggio era un luogo. Lo si poteva vedere, segnare su una carta, descrivere in tutti i suoi attributi fisici. Qui vi era una strada su cui passavano uomini e bestie […] tutte queste cose si potevano percepire; l’occhio le poteva afferrare, i sensi potevano coglierne la sensazione, il suono, l’odore […]
Questi oggetti reali, autentici, veri, potevano ritornare alla memoria, essere evocati a destare la curiosità e muovere la meraviglia. Eppure il villaggio era ancora di più: legami, parentele, doveri, privilegi, avevano un loro sapore speciale, un valore unico, un significato in termini della vita, del suo intero.
HANDLIN, The Uprooted, 1951
 


In questa foto siamo a Tocco Caudio (BN), accompagnati da Marcello tra i vicoli di Tocco Vecchia. Lui è nato qui, in queste case ormai distrutte e abbandonate definitivamente dopo il terremoto del 1980. La storia di Tocco ci parla di disastri naturali, interessi edilizi e scelte politiche. Il paese nuovo è composto da 3 località distribuite su 25 km2 circa, per poco più di 1000 abitanti. Il senso di comunità del paese è stato letteralmente sconvolto dalla dispersione del nuovo abitato che ha reso gli abitanti distanti e isolati. Le strade strette, le piazzette, i balconi del paese vecchio, racconta Marcello, parlano di altre relazioni e di altri affetti. Come ci dirà qualcun altro più avanti lungo il viaggio “le case si possono ricostruire, mentre gli affetti no”.